«Prima mi ha strangolato, poi ha cercato di darmi fuoco. Per fortuna l’accendino si è inceppato, altrimenti sarei morta». Stefania Poli, operatrice sociosanitaria del servizio psichiatrico di Firenze, ricorda ancora quanto accaduto pochi mesi fa, mentre era in servizio in ospedale. E’ viva per miracolo e oggi racconta l’aggressione subìta. «Sono stati secondi terribili, in quei secondi non potevo chiedere aiuto perché il paziente mi stava afferrando per il collo e non riuscivo a parlare». Ancora oggi, Stefania riporta danni permanenti: danni al rachide cervicale e abbassamento dell’udito da un orecchio. Se oggi ha deciso di raccontare, e di metterci la faccia, è perché spera che episodi come questo non accadano più negli ospedali. E invece accadono sempre più spesso. Medici, infermieri e Oss le vittime. Strangolati, picchiati, strattonati, spintonati. Sembra quasi un bollettino di guerra: secondo l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie, sono stati 16 mila gli episodi di aggressione al personale sanitario e sociosanitario nel 2023 e 18 mila gli operatori e le operatrici coinvolti. Secondo Associazione medici di origine straniera in Italia, Unione medica euromediterranea e Movimento internazionale Uniti per Unire, negli ultimi 5 anni le aggressioni complessive sono aumentate del 38%. Tra i motivi principali, la carenza di professionisti della sanità, i lunghi tempi delle liste d’attesa e l’aumento del disagio sociale nel Paese. Tantissimi gli operatori sanitari aggrediti. Tra loro c’è Maria Elvira Cecere, oss all’ospedale San Giuseppe di Empoli. Ancora vivido nei suoi occhi quel turno notturno di qualche mese fa: «Una paziente ha chiesto una terapia perché non riusciva a riposare, è andata in crisi di agitazione, una mia collega è accorsa, è stata aggredita, buttata per terra, afferrata per i capelli e trascinata, poi la paziente si è scagliata verso di me, mi ha buttata per terra, afferrata per i capelli, poi ha cercato di mordermi». Episodi non isolati, ma purtroppo comuni in molti ospedali e presìdi sanitari italiani. Tra le persone aggredite anche Tina (nome di fantasia), psichiatra fiorentina: «Un paziente a noi conosciuto, affetto da disturbo di personalità antisociale, si è presentato improvvisamente nel mio studio e ha tirato fuori un cacciavite e un coltello, ho cercato di alzarmi per uscire dalla stanza ma lui mi ha intimato di mettermi a sedere. È iniziato così un verso e proprio sequestro che è durato almeno quaranta minuti, alla fine il paziente è stato convinto ad utilizzare una terapia». Da quel giorno però, Tina lavora con più ansia. E chiede una cosa sola: «Non bastano gli agenti per la sicurezza nei pronto soccorso degli ospedali, servono veri e propri presìdi di polizia, capaci di intercettare le aggressioni ai sanitari». Una richiesta che arriva da più parti per tutelare medici, infermieri e oss. Secondo la Funzione Pubblica della Cgil, la professione più colpita è quella infermieristica, seguita dai medici e dagli operatori sociosanitari. Due terzi delle persone aggredite sono donne. Gli ambienti più rischiosi risultano essere i Pronto Soccorso, le Aree di Degenza, i servizi psichiatrici e gli ambulatori. I principali aggressori sono i pazienti (69%) contro il 28% di parenti. Il 68% delle aggressioni è di tipo verbale, il 26% fisico e il 6% contro beni di proprietà. E per affrontare davvero il problema alla sua radice, spiegano da Cgil, «si deve assumere personale tanto nel settore pubblico che in quello privato accreditato». E poi, è scritto nel documento "Stop alle aggressioni al personale sanitari”, «va messa la parola fine al definanziamento del servizio sanitario nazionale che sta progressivamente distruggendo uno dei sistemi sanitario migliori del mondo». Per Benedetto Magliozzi, segretario generale Cisl medici, «è necessario ora più che mai un posto di polizia fisso negli ospedali a tutela degli operatori, ma anche l’obbligo per il datore di lavoro di costituirsi parte civile dinnanzi a questi reati, tutelando i sanitari vittime delle aggressioni, che verrebbero così sollevati dal pagamento degli oneri delle spese legali per far valere i loro diritti e che in questo modo si sentirebbero realmente e concretamente supportati». Secondo il presidente dell’ordine dei medici Filippo Anelli, «le aggressioni sono spesso il terminale di un sistema dove l’attesa aumenta la rabbia mista alla sofferenza di non poter ottenere una adeguata risposta sanitaria. Gli operatori sanitari sono vittime di un modello organizzativo spesso inefficace e di una cultura consumistica in sanità del tutto e subito».